PERCHE' GIOVANNI FALCONE E' UN EROE, A PRESCINDERE DALLA SUA MORTE

Giovanni Falcone. Un nome, mille sfumature. Dal più semplice "ah che eroe, ha lottato per la comunità ed è morto per tutti noi" al più classico "è un esempio positivo per tutti, tutti dovrebbero comportarsi come lui" e così via, così discorrendo. Ma la domanda che mi pongo, quasi quotidianamente, è questa: c'è chi VERAMENTE sa cosa DI PRECISO ha fatto il magistrato palermitano? C'è chi conosce i dettagli della sua carriera? In poche parole:c'è qualcuno che sappia un motivo, al di là della morte, per i quali E' UN VERO EROE? Proviamo a ripercorrere dei tratti della sua carriera in magistratura.

GLI INIZI

Giovanni Falcone entra ufficialmente a far parte della magistratura italiana nel 1964, dopo una brillante carriera all'Università degli studi di Palermo. Nel giro di pochissimo tempo, com'è lecito attendersi, si trova a dover affrontare la problematica dell'organizzazione mafiosa denominata Cosa Nostra, e non in un' indagine banale! Si tratta, di fatti, dell'inchiesta giudiziaria cosiddetta "Pizza Connection", un'indagine aperta dall'FBI statunitense per analizzare i traffici di droga, in entrata negli USA, provenienti principalmente dal capoluogo siciliano. Com'era possibile un simile fatto? Semplice: bastava avere dei parenti, appartenenti alla stessa famiglia mafiosa, in territorio statunitense, soldi e un solido apparato in grado di gestire i traffici. E di queste premesse, nella Palermo degli anni '70,  ce n'erano a bizzeffe! Falcone partecipò attivamente alle indagini, parlando direttamente coi federali di New York in più di un'occasione. Ciò gli diede da un lato un'importante nomea all'interno della magistratura palermitana, ma dall'altro fece scattare l'allarme delle principali famiglie mafiose. Fu così che gli fu subito affidata una scorta.

L'APOGEO

La fine dell'indagine di Pizza Connection, con l'imputazione dello storico leader della famiglia mafiosa di Cinisi Gaetano "Zu Tano" Badalamenti, consegna un Giovanni Falcone tirato a lucido, pronto per incarichi giudiziari sempre più importanti e delicati. Fu così, che in quella posizione, potè entrare in contatto con un altro importantissimo magistrato: Rocco Chinnici, seguito a ruota dal suo ex collega di studi, e amico, Paolo Borsellino. Grazie al lavoro dei 3 magistrati si arrivò a una soluzione decisiva nella lotta contro cosa nostra: il leggendario (e oltremodo storico) "maxiprocesso", il più grande processo mai istituito al mondo. Chinnici fu un (se non il più importante) ideatore di quest'ultimo, ma non potè vederne il compimento: nel 1983 un attentato mafioso gli costò la vita. 

Il magistrato RoccoChinnici

L'eredità del pesantissimo lavoro di Chinnici fu presa dal duo Falcone-Borsellino, ben pronti a vendicare giuridicamente il loro deceduto collega. La domanda ora è questa: cosa si intende, esattamente, per "maxiprocesso"? Esso prevedeva la citazione in giudizio di 475(!) imputati, la cui stragrande maggioranza era composta da mafiosi, per una serie di reati (omicidio, corruzione, associazione a delinquere e traffico di stupefacenti tra questi) avvenuti tra gli anni '60 e gli anni '80. La cosa più "innovativa" fu la comparsa (in molti casi per la prima volta) sul registro degli indagati di TUTTI i boss più importanti dell'epoca, tra cui i due corleonesi Riina e Provenzano, e di molti politici di Roma che avevano provveduto, previo pagamento, alla protezione giuridica dei capi mafiosi. L'istituzione del processo avvenne tra il 1984 e il 1986, e fu interamente scritto da Falcone e Borsellino nel carcere sardo dell'Asinara, per il quale dovettero persino pagare (!) le spese di soggiorno.
Inutile dire che il maxi processo fu un successone: 8067 pagine, 19 ergastoli (tutti ai principali boss mafiosi) e anni e anni di carcere per i responsabili dei vari reati. Falcone divenne l'eroe per eccellenza, colui che aveva per la prima volta messo i mafiosi alla sbarra. Ma, ahimè, gli attirò non poche sventure di lì in avanti.

GLI ULTIMI 6 ANNI
Ciò che aveva fatto costò a Falcone una taglia "di un milione di dollari" sulla sua testa, ma nonostante ciò egli continuò con  il suo straordinario lavoro. Finchè gli fu possibile....

Salvatore Riina: capo di cosa nostra

Di fatti le istituzioni DELLO STATO provarono in ogni modo a sbarrargli la strada: non gli fu concesso (seppur fosse il principale indiziato) di diventare il capo dell'ufficio istruzione del tribunale di Palermo, ruolo con cui il magistrato classe '39 avrebbe potuto fare tantissimo per la causa antimafia. E, dalla mancata elezione in poi, gli furono affidati casi sempre meno in relazione con la mafia. La delusione fu forte, e la contemporanea partenza di Borsellino (era stato trasferito a Marsala per condurre alcune indagini relative ad importanti traffici di droga) gettarono Falcone nella più profonda tristezza. In seguito, per sua fortuna, fu chiamato a Roma per ricoprire un importantissimo incarico: il direttore dell'ufficio affari penali. Egli, pur con qualche esitazione, accettò la proposta. Con lui al timone di un ufficio del genere si sarebbero potuti fare decisivi passi in avanti, aveva esperienza da vendere e un desiderio di mettere in scacco la mafia secondo a nessuno al mondo. Questa determinazione non sfuggì al leader mafioso corleonese Salvatore "Totò" Riina, il quale non passava giorno senza che pensasse ad una maniera per porre fine alla vita del magistrato. Dopo il primo tentativo (fallito) del 1988 si aprì la prospettiva dell'attentato: Falcone, di ritorno a Palermo come ogni week end, fu assassinato da del tritolo posto sotto l'autostrada in corrispondenza dello svincolo per Capaci. Siamo al 23 maggio del 1992, la data che tolse per sempre il nostro eroe dal mondo conosciuto.

Agghiacciante panorama
di Capaci dopo l'esplosione

                                                                                                                                                                                                                                                                                                    Alle volte si usa molto acclamare e adorare alcune personalità, storiche e non, solo per abitudine e tradizione. Spesso quando morte, poichè la dura e cruda frase "tutti ti adorano quando sei tre metri sotto terra" è più che mai corretta e adatta a questo contesto. Ma occorre, oltresì, sapere i motivi per cui una persona è stata così acclamata e perchè la sua morte è stata un così grande trauma. E come avete avuto modo di vedere, nel caso di Falcone, è ben lecito CONOSCERE. Così da adorarlo e ammirarlo ancor di più, perchè questo si merita. Per quello che ha fatto per l'Italia, per quello che ha fatto per la sua isola, per quello che ha fatto per la sua amata Palermo. Per i valori che incarna per i cittadini onesti che, quotidiAnamente si scontrano con le insopportabili realtà mafiose. Per quello che era.


"Non li avete uccisi: le loro idee camminano sulle nostre gambe" (cit.)

Storica foto di Falcone e Borsellino

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